Commenti di poesia: L'infinito

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25 marzo, 2007

L'infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

(Giacomo Leopardi, Idilli, 1826)

Si tratta di uno spaccato d'esperienza, un idillio, termine che in greco indica un piccolo quadro. Più che di esperire un paesaggio, Leopardi sta intraprendendo un'avventura interiore: è la saga dell'uomo che cerca di intuire la realtà che sta oltre le cose, il concetto di Platone, il numenon di Kant, l'essenza di Aristotele. Solo che Leopardi, grandissimo filosofo, non scrive un trattato; usa il linguaggio più affascinante che l'uomo abbia a disposizione per parlare dell'anima: la poesia.

Ecco allora il poeta davanti a un limite: la siepe, solitaria come l'animo stesso. Siamo di fronte a una rottura dello sguardo: non è possibile abbracciare tutto l'orizzonte. Ma la dimensione che conta ha in realtà ben poco di fisico. Il paesaggio è tutto immaginario, racchiuso nella psicologia dell'infinito, di cui queste poche righe rappresentano forse l'apice di ciò che è stato scritto da mano umana fino ai giorni nostri.
Vediamo allora di capirne un po' di più. La prima parte è un percorso che va dall'esteriorità, la siepe, all'interiorità: l'esclusione dello sguardo dall'infinito spaziale rimanda l'uomo ad un senso di ridimensionamento che però viene immediatamente superato attraverso l'immaginazione. E' il pregio del limite, dell'indefinito: non uso a caso questo secondo termine. Per Leopardi non si tratta tanto di vedere, ma di definire, di porre dei confini: è un sentimento molto più intellettuale di quello che lascia pensare il verso finale della poesia, il naufragio. L'uso del verbo fingere, nel pensier mi fingo, è molto significativo in tal senso: è un termine latino proprio della scultura, e la scultura è definizione di qualcosa che prima era indefinito, il trarre dall'informe qualcosa di formato, con dei lineamenti ben precisi (almeno fino all'avvento dell'astrattismo). Leopardi, sebbene abbia lo sguardo mutilato, tenta di scolpire un paesaggio, e ci riesce, paradossalmente, sedendo e mirando: demiurgo immobile, con la mente delinea mondi sovrumani, si scopre a stretta somiglianza di un creatore, anche se creatore non è del tutto, ma plasmatore sì. C'è una sorta di timore in tutto questo, l'uomo posto davanti a sovrumani silenzi, capisce di essere molto più grande di qualsiasi orizzonte, comprende di potere abbracciare l'infinito.

La seconda parte è un ritorno parziale all'esteriore, una traslazione dell'incanto: non una rottura, si badi bene, non c'è un enjambment, semplicemente un punto, prima di andare a conoscere una nuova dimensione dell'infinito: quella temporale. Non siamo più di fronte a una scultura, a una circostanza spaziale, bensì al tempo, inteso in modo quasi agostiniano, alla durata quindi. E la forma d'arte più vicina alla temporalità è senz'altro la musica, con il suo senso, l'udito. Ecco allora lo stormire del vento, che sembra riportare la finitezza, il definito contorno delle cose vicine, queste piante. Ma nel contempo ecco presentarsi l'eterno, il ciclo dello scorrere del tempo, con le stagioni passate da sempre legate a quelle presenti, ecco l'apparire di quel vocabolo, l'immensità, qualcosa di immisurabile che però è vicino: dalla lontananza di quello infinito silenzio, si arriva a questa immensità. E' una nuova prospettiva, una immersione tale da fare annegare i pensiero: ma il naufragare in questo mare indefinito, riduce tutte le distanze; non più raffigurazioni, ma coinvolgimento, non più spazio distanziale, ma durata eterna.

La chiave di volta è il paragone, vo comparando, del finito all'infinito, che da sempre, sempre caro mi fu quest'ermo colle, è lì, a disposizione dell'uomo: il limite è la porta che dischiude il senza limite, il perimetro della circonferenza apre a tutto quello che sta fuori. Ma siamo uomini, ci tocca di vivere su questa soglia, su questo filo tra questo e quello, nel tentativo di definire l'infinito, nel pensiero dell'infinito stesso, in cui ci si tuffa, lasciandosi annegare in un mare sorprendentemente dolce.

10 commenti:

Luciana Bianchi Cavalleri ha detto...

Chi non ha sognato almeno una volta, leggendo gli indimenticabili versi leopardiani:

io provo le medesime sensazioni, perdendomi nell'osservazione del "mio" adorato lago...
("e il naufragar m'è dolce in questo mare" !)

Luciana
http://www.comoinpoesia.com

Bea ha detto...

adoro leopardi
non ,mi stupisce che per milioni di personi lui, sia un mito
secondo me esprime una realtà che è nelle menti ancora oggi...
ade esempio ne "la domenica del villaggio" (qui non citata) paragona il sabato all'età giovane. e la domenica a quella adulta. il sabato, ovvero la gioventù, è una prospettiva di sogni verso la domanica (età adultà), un giorno, o un età lieto/a, spensierata, allegra..dove si possono assaporare i piaceri della vita (godi fanciullo mio..)..mentre la domenica (età adulta) non è la prospettiva di successo tanto sognata, ma un susseguirsi di delusioni, noie e proccupazioni. io, tredicenne, interpreto questo come un inno al divertimento, (qunado sarò aduta di sicuro la penserò in una altro modo), dal famoso verso "godi fanciullo mio..." deduco...ora che hai l'età...divertiti, goditi la vita finchè sei in tempo..sei giovane...stessa cosa nella poesia "a silvia"..silvia ha potuto godere i piaceri della vita in gioventù. e quasi è una fortuna che sia morta non dovendo affrontare i malumori della vita adulta. credo che leopardi scriva così proprio per dare un incoraggiamento..lui non ha potuto avere una vita da normale adolescente. incoraggia gli altri, che possono, ad averla.

ma naturalmente questa è solo un opinione

un caloroso saluto a tutti

ps. scusate la scorrettezza di esprimersi ma ho solo 13 anni

Anonimo ha detto...

sembra strano ma ho 13 annni e le poesie di leopardi mi hanno sempre affascinato..bellissime...ti trasoprtano..veramnete...!!!

Unknown ha detto...

Ciao ho letto i commenti e non sono male . Però quello che mi interessava è "Il Passero Solitario" . Bravo lo stesso.

★αяıαииα★ ha detto...

Emh..Bea...io ho 10 anni e so benissimo che i cognomi vanno scritti con la lettera maiuscola,anche un bambino di 5 anni sa che si dice personE,so che la virgola alla negazione "NON" è vietata,che dopo il punto vien la lettera maiuscola!
Mah.

★αяıαииα★ ha detto...

PS:Io invece cercavo "All'Italia <.<

Anonimo ha detto...

Anche io ho 13 aani e non mi sono mai piaciute le poesie di leopardi...solo in questi giorni stò iniziando a capire che (per me) non sono solo poesie...sono saggi della letteratura italiana, che ci hanno accompagnati per tutti questi anni...!!!!

Anonimo ha detto...

P.S. scusate per i piccoli errori...non uso scuse che sono piccola ma mi giustifico dicendo che ho sbagliato a cliccare i tasti...!!!

Emanuele Marcuccio ha detto...

Leopardi è il mio poeta preferito, non certo per il sistema del suo pessimismo cosmico ma per l’infinita e meravigliosa musicalità dei suoi versi. Quanto mi ha ispirato la musica dei suoi versi e, “L’infinito” è la poesia che preferisco più di tutte, non solo per i suoi versi infinitamente pieni di musicalità, ma perché la vedo come un’oasi di speranza lungo il deserto del suo pessimismo cosmico: “Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare.”.

Anonimo ha detto...

Cara arianna ho 13 anni tu non hai niente da pensare che vedere queste scioccheze! Beatrice é stata fantastica! Ha la mia ammirazione! Leopardi é il mio poeta preferito! Saluti da elena