Commenti di poesia: S'i' fosse foco

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08 gennaio, 2008

S'i' fosse foco

S'i' fosse foco, ardere' il mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;

s'i' fosse Dio, manderei 'l en profondo;
s'i' fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti ' cristiani embrigarei;
s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, andarei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi' madre.

S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

(Cecco Angiolieri, Rime, 1292 - 1304)

Ci sono dei poeti che restano nella storia della poesia con un solo componimento: è il caso di Cecco Angiolieri, il cui verso iniziale di questa poesia , "S'io fosse foco, ardere' il mondo", è conosciuto da chiunque abbia una seppur minima educazione letteraria.
Senza dubbio la prima parte della poesia in questione è la più conosciuta: due strofe piene di iperboli che in otto righe riassumono tutta la cosmologia del suo tempo, il Medioevo . Con questa poesia, chi pensa che ci siano state epoche di oscuramento totale della ragione e dell'ironia, ha il suo benservito. Cecco ci porta su una giostra, dentro un gioco quasi infantile, ma anche sempre di moda: il gioco del "Se fossi". E come un bravo giocatore spara subito in alto: se fossi fuoco brucerei il mondo. Comincia con un elemento purificatore per eccellenza e lo usa per una distruzione, alla stessa stregua parla del vento e dell'acqua. Forse Cecco, spirito libero e dissacratore, ci sta dicendo che non c'è nulla da fare: si nasce con certe caratteristiche, e qualsiasi forma noi possiamo assumere, siamo sempre noi. E allora, se persino fosse Dio, non farebbe altro che sprofondare il mondo, mandarlo a picco. Dopo essere salito così in alto, che più alto non si può, col gioco del "Se fossi", Cecco torna a terra. Dalla natura è balzato alla metafisica, ora tocca all'umanità. Se la prende con le due massime entità del Medio Evo, il Papato e l'Impero. Anche qui non si placa la brama distruttrice: tagli di teste e impiccagioni, sempre in tono canzonatorio.
Se il primo verso della seconda strofa, riferito al Papa, richiamava l'ultimo della prima, quello dell'entità divina, il primo della terza, la morte, riprende l'ultimo della seconda, le decapitazioni capitali. Ed ecco allora il "S'i fosse morte" che porta Cecco a vestire i panni di una specie di terribile clown parricida, che con una agile rimbalzo raggiunge suo padre, e subito dopo il "S'i fosse vita", con una fuga da entrambi i genitori in maniera altrettanto repentina. A questo punto, come Hitchcock nei suoi film, entra in scena il regista del gioco, Cecco. Seguendo la logica dovrebbe per lo meno spararsi un colpo in testa o attaccarsi ad una macina e gettarsi in un lago. Ma c'è invece la boutade finale: Cecco il distruttore non è altro che uno scavezzacollo che ama rincorrere le belle donne e tutto quello che ha detto prima, si rivela per quello che è sempre stato, un bel gioco. Queste sono le parole rivelatrici dello scherzo, le ultime parole, forse metaforicamente giovani e leggiadre, che sono le uniche che contano in confronto a quelle precedenti, già vecchie e laide.

Da questo divertito e canzonatorio scherzo in versi possiamo trarre alcuni brevi spunti. Il primo è quello del grande potere della parola. La parola come fantasia, immaginazione che ci fa essere più grandi della natura: banalmente nessun vulcano, per quanto potente e distruttivo, può pensare "se fossi Cecco farei…" perché il vulcano non ha immaginazione né desideri. E' un discorso trattato in maniera filosofica da Kant quando parla del sentimento del sublime. Qui il tono e l'argomento è molto diverso, ma la sensazione può essere la stessa: l'uomo può sognare e decidere, il vento non ha volontà, non può scegliere se soffiare o chetarsi.
Un altro spunto può essere il tema della diversità. Lo cogliamo nella seconda e nella terza strofa. Cecco non fa le cose che fanno gli altri, anzi, le capovolge. Si traveste da serial killer e corre per il mondo con la sua ascia insanguinata. E' la parte più urtante e dissacrante della poesia, perché tocca gli aspetti familiari. Ma è nella terza strofa che si svela nel pieno il tema: nei due verbi andarei, fuggirei, c'è tutta la storia di un uomo che non ha il suo posto, che in fondo è in una sorta di limbo, in una crisi di identità che è forse l'inizio ed il corso del gioco del "Se fossi". E come ci si libera dall'affanno di questa crisi? Un asceta risponderebbe con parole illuminate che indicano la via della meditazione, ma Cecco non è un monaco o un filosofo idealista: sceglie la strada della carnalità. E così lo ricordano i critici d'oggi, uomo dedito al dado, alla taverna e alle donne, come egli stesso si descrive in altre rime. Ma lui, se fosse stato qui, avrebbe forse scosso il capo e bruciato tutti quei libri di critica e distrutto anche questo commento, che in fondo non vale niente in confronto alla bellezza di una ragazza giovane e leggiadra che danza per la via.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella poi la versione cantata da Fabrizio De Andrè...

Anonimo ha detto...

ciao chi sei io non ti conosco come va??????????

ksenia ha detto...

Ciao mi puoi dire quali sono le figure importanti in questo sonetto?

Anonimo ha detto...

bello

Anonimo ha detto...

bello, mi è servito per il compito

Sindhanti ha detto...

la morale è: la figa ti rimette in pace con il mondo ;-)

Sindhanti ha detto...

la morale è: la figa ti rimette in pace con il mondo ;-)

Unknown ha detto...



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