Commenti di poesia: Ode al primo giorno dell'anno

OGNI CENTO FANS AGGIUNGO UN NUOVO COMMENTO!

07 gennaio, 2007

Ode al primo giorno dell'anno

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.

Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura.

Vedo l'ultimo
giorno
di questo
anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l'uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all'infinito
modello delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni
sboccati
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell'anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?

Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell'alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell'anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.

La terra non lo sa: accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.

Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.

Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo
come un liquido topazio.

Giorno dell'anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.

Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!


(Pablo Neruda, Terzo libro delle odi, 1957)

Trad. Alessandra Mazzucco

L'inizio ha un tono di meraviglia infantile: l'anno nuovo è paragonato a un pony che viene coccolato, vezzeggiato e persino adornato con un fiocchetto. Lo stupore e l'attesa si fanno crescenti, l'atmosfera è tutta da fiaba, suggellata dall'immagine dell'esploratore che scende dal firmamento.

La realtà è che il primo giorno del nuovo anno non è poi molto differente dagli altri: una briciola tra le tante del pane quotidiano, un giorno che comincia all'alba e finisce per addormentarsi nella notte, un anello della catena temporale che attraversa la vita.

La prospettiva di Neruda è quella di un uomo su un treno: quel treno è il tempo, un meccanismo di ingranaggi al quale ogni uomo guarda, cercando di capirne la complessità: i bivi, le possibilità di intervento e l'impossibilità di arrestarne la corsa. E in questa analisi del tempo, che in fondo non è altro che la vita umana, tutti i giorni sono simili, tutte le persone sono coinvolte allo stesso modo, non c'è differenza, non c'è figliolanza né paternità: tutti sullo stesso treno.

Nulla di particolare, quindi, nel primo giorno dell'anno: è solo un viaggio che prosegue, mentre sullo sfondo cangianti panorami si susseguono anonimi, e uomini che non si conoscono attraversano la nostra vita, il nostro orizzonte. Nulla da temere, però: è un percorso naturale, dalla nascita all'oblio: è la terra che funziona così, è la vita.

Detto tutto ciò, quale valore conserva il nuovo giorno? Se c'è una diversità da segnalare, è quella della speranza: quel senso di attesa trepidante, quell'aspettativa di un altro modo di vita che vorrebbe coinvolgere le pratiche più elementari, come il mangiare, e quelle più spirituali, come lo sperare. Un nuovo anno da assaggiare, da rendere sacro come un candelabro, da bere come un liquore prezioso.

Resta la necessità della speranza, dovere che si fa potere: in questa nuova prospettiva il povero giorno umano si trasforma in una sorta di divinità naturale che fa fiorire, profuma, adorna i cuori di luce e innalza quelle torri che permettono di andare oltre il presente guardare verso il futuro con occhi nuovi e riconciliarsi con quel tempo di cui si è parte, quel tempo che non bisogna solo subire, ma che si può avvistare, costruire, insomma, vivere.

1 commento:

Jessica Parra | CessioneQuintoINPDAP ha detto...

Sono spagnola e ho sempre conosciuto Pablo Neruda nella sua lingua originale, mi ha fatto molto piacere leggere Neruda in italiano. La sua opera è bella anche in altre lingue.